Nomadland

 

 

BRUDERCopertinaSingola

Jessica Bruder

Edizioni Clichy, pp. 384 € 17

 

Un racconto nato da un’inchiesta (Dopo la pensione, vincitrice del Premio Aronson 2015 per il giornalismo sulla giustizia sociale) ci accompagna in un viaggio indimenticabile attraverso la vita, i sogni e le speranze dei nomadi del terzo millennio, per scoprire che, squarciato il velo del Sogno americano, al di là forse è possibile scorgere una nuova realtà, più umana e solidale.

«Mentre scrivo, sono sparpagliati in tutto il Paese. A Drayton, in North Dakota, un ex-tassista di San Francisco di sessantasette anni sgobba per la raccolta annuale della barbabietola da zucchero. Lavora dall’alba fin dopo il tramonto a temperature che scendono sotto lo zero, aiutando a scaricare i camion colmi di varie tonnellate di barbabietole che affluiscono dai campi. La notte dorme nel furgone che gli fa da casa da quando Uber lo ha tagliato fuori dal settore dei taxi, rendendogli impossibile pagare l’affitto.

A Campbellsville, in Kentucky, un’ex-general contractor di sessantasei anni sistema la merce durante il turno di notte in un magazzino Amazon, spingendo un carrello per chilometri sul pavimento di cemento. È un lavoro che inebetisce, e lei si sforza di esaminare ogni articolo attentamente, sperando di evitare il licenziamento. La mattina ritorna alla sua piccola roulotte, ormeggiata in uno dei numerosi parcheggi per case mobili che hanno un contratto con Amazon per ospitare lavoratori nomadi come lei. […]

A New Bern, in North Carolina, una donna, che ha per casa una roulotte a goccia – così piccola da poter essere rimorchiata con una motocicletta – fa coachsurfing da un’amica mentre cerca un lavoro. Anche con una laurea specialistica, la trentottenne originaria del Nebraska non riesce a trovare un posto, nonostante abbia fatto centinaia di domande solo nell’ultimo mese […].

A San Marcos, in California, c’è una coppia sulla trentina in un camper GMC del 1975: gestiscono un chiosco di zucche al margine della strada, completo di parco giochi e fattoria didattica per bambini; lo hanno dovuto montare in cinque giorni su un appezzamento di terra libero, partendo da zero. Tra poche settimane cominceranno a vendere alberi di Natale.

A Colorado Springs, in Colorado, una vandweller di settantadue anni, che si è incrinata tre costole mentre faceva delle riparazioni in un campeggio, si sta riprendendo dall’infortunio mentre passa del tempo con la famiglia».

Per scrivere Nomadland Jessica Bruder ha vissuto per mesi in un camper, documentando la vita degli americani itineranti che hanno abbandonato la loro casa per vivere la strada a tempo pieno, unica via per non essere travolti da un’economia sempre più precaria.

Il progetto ha richiesto tre anni e più di 15mila miglia di guida, da costa a costa, dal Messico al confine canadese. «Ambulanti, vagabondi, lavoratori stagionali e anime inquiete ci sono sempre stati. Ma adesso, nel secondo millennio, un nuovo tipo di tribù errante sta emergendo. Persone che non avevano mai immaginato di diventare nomadi si mettono in viaggio. Abbandonano case e appartamenti tradizionali per vivere in quelli che alcuni chiamano «immobili su ruote» – furgoni, camper di seconda mano, scuolabus, pick-up camperizzati, roulotte da viaggio, e semplici vecchie sedan».

Ogni giorno in America sempre più persone si trovano a dover decidere se è meglio mangiare o andare dal dentista. Se pagare il mutuo o la bolletta dell’elettricità, una rata dell’automobile o le medicine, vestiti caldi oppure benzina per andare al lavoro. Di fronte a questi dilemmi impossibili, molti alla fine decidono di abbandonare la vita sedentaria e di barattare delle solide quattro mura per una vita su ruote. «Qualcuno li chiama “senzatetto”. I nuovi nomadi rifiutano quest’etichetta. Dotati sia di un riparo che di un mezzo di trasporto, hanno adottato un termine diverso. Si definiscono, molto semplicemente, «senza casa».

Nomadland ha vinto il Discover Award 2017 ed è stato finalista del J. Anthony Lukas Prize dell’Helen Bernstein Book Award. Dal libro è tratto l’omonimo film di Chloé Zhao, interpretato da Frances McDormand, vincitore di tre Premi Oscar (miglior film, miglior regia e migliore attrice), del Leone d’Oro, del Golden Globe, del Toronto Film Festival e del Bafta.

«La strada si sbobina attraverso il giorno e dentro la notte, finché non sopraggiunge la stanchezza. Con gli occhi arrossati, trovano dei posti in cui accostare e si riposano. Nei parcheggi dei Walmart. In tranquille stradine di periferia. Nelle aree di servizio, cullati dalla ninnananna dei motori in folle. Poi alle prime ore del giorno – prima che chiunque se ne accorga – ritornano sulla strada. Continuando a guidare, sono forti di questa consapevolezza:

L’ultimo luogo libero d’America è un parcheggio».

 

V.S.